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Secondo Lockdown. Quali Rischi e Conseguenze ?

La primavera 2020 ha messo a dura prova la nostra società generando crisi economiche e sociali e ha favorito l’emergere di fragilità psicoemotive con conseguenze gravi sulla salute psicofisica di bambini e adulti.

La paura è l’emozione di base che sta caratterizzando il nostro vivere in questi ultimi mesi. Tale emozione è utile in quanto permette di attivare le modalità difensive necessarie a proteggerci ed è quindi grazie alla consapevolezza di un rischio per la propria salute che le persone sono riuscite, e ancor oggi continuano, a rispettare le norme igienico sanitarie dettate dal Ministero della Salute. La paura però è un’emozione che per essere funzionale necessita di un tempo breve e dopo l’attivazione delle risorse di protezione dovrebbe terminare, altrimenti rischia di diventare cronica, comportando gravi conseguenze psicofisiche.

Tali conseguenze sono quelle in cui ci siamo trovati in fase lockdown e che stanno avendo strascichi fino ad oggi comportando cambiamenti corporei e psicologici.

Quando sperimentiamo paura abbiamo delle reazioni corporee quali aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, motilità intestinale, tensione muscolare e aumento della sudorazione che ci permettono di agire per gestire il pericolo, ma, se lo stato d’allarme è duraturo nel tempo, la tensione muscolare e la posizione d’allerta diventano cronici, generando problemi posturali, rigidità muscolari e crisi respiratorie. Le stesse risposte fisiologiche sono caratteristiche degli stati ansiogeni e degli attacchi di panico, di cui negli ultimi mesi abbiamo avuto un importante incremento.

La persona con una eccessiva risposta di paura a numerose situazioni inizia a focalizzarsi esclusivamente su ciò che teme, generalmente preoccupandosi che un problema non abbia soluzione o catastrofizzandolo. Si sviluppa, col tempo, un tipo di pensiero negativistico verso sé stessi e il mondo circostante, percepito come fonte di minacce sempre possibili. Tali forme di ragionamento negativo formano un circolo vizioso con i cambiamenti corporei e in questo modo lo stress rimane costantemente elevato, portando a un aumento del disagio e delle preoccupazioni, fattore che induce le persone a focalizzarsi sugli eventi negativi e insolubili piuttosto che su quelli positivi.

Ansia e paura sono codificate nella medesima area cerebrale, ma i motivi per cui si manifestano sono diversi. Nel primo caso, quando proviamo paura, siamo spaventati da qualcosa di specifico, mentre l’ansia si scatena quando si effettuano previsioni negative e catastrofiche su eventi percepiti come importanti o pericolosi.

Cosa accadrebbe quindi con un secondo lockdown? Cosa sta già accadendo con i volti coperti, con il lavoro a metà, con lo sport come rischio di contagio e con le scuole in bilico? 
Dai bambini agli adulti stiamo attraversando un periodo storico e sociale caratterizzato da incertezza, dove nulla è programmabile e dove il tempo è indefinito; dove l’altro può farmi ammalare o bloccare i miei progetti di vita quotidiana e dove io stesso posso provocare un danno a qualcuno, anche a un mio caro. 

La ripresa del periodo estivo ha alleviato la paura del contagio e anche gli stai ansiogeni sono andati leggermente a ridursi, con intensità diverse a seconda delle storie personali di ognuno di noi. Ci si è detti che si poteva tornare a incontrarsi, a riprendere le proprie passioni e i propri doveri e si è visto che con cura e attenzione potevamo tornare a delle routine che garantiscono sicurezza e riducono l’impatto emotivo del futuro incerto.

Ora la rivalutazione di un lockdown rischierebbe di fungere da trigger traumatico di un’esperienzache non è ancora stato possibile rielaborare, generando una società ansiogena, impaurita e arrabbiata;
condizioni emotive che possono sfociare in stati depressivi e ledere gravemente alla salute psicofisica delle persone. Anche i bambini e i ragazzi, che possono apparire meno impattati da questa realtà sia a livello di salute fisica sia a livello di progetti di vita (non perdono il lavoro, “possono recuperare in futuro”), si trovano a vivere un clima familiare sofferente, a subire un cambio di stile di vita, a non poter assolvere la funzione principale del loro sviluppo che è il rapporto col gruppo dei pari. Non possono portare avanti con regolarità la formazione scolastica, si trovano a dover usare molta tecnologia (fino a poco tempo fa ritenuta altamente lesiva per lo sviluppo cognitivo e motorio) per stare in contatto e portare avanti i loro progetti scolastici, non possono approfondire e sperimentare hobby e passioni esterne al contesto domestico con adulti di riferimento diversi dai propri genitori e familiari. Risulta così difficile per i più piccoli sviluppare competenze spaziali e relazionali mancando la possibilità del contatto, mentre i preadolescenti e gli adolescenti, ridotti nelle possibilità di stare col gruppo dei pari e costretti a condividere maggior tempo coi propri genitori, potrebbero avere un rallentamento nella costruzione identitaria.

Le fasce d’età di bambini, ragazzi e adolescenti sono state in questi giorni già catapultate di nuovo nella dimensione di blocco, incertezza, limite che abbiamo vissuto nel lockdown, trovandosi con accessi limitati alla scuola e con l’impossibilità di praticare sport, i loro due ambiti di vita quotidiana e contesti necessari alla crescita. Oltre ai danni a livello fisico ed emotivo che già sopra ho descritto, ci troviamo qui di fronte anche a un rischio di danni dello sviluppo cognitivo, in particolare competenze attentiva e di memoria.

In una recente meta-analisi, Fedewa e Ahn (2011) hanno preso in esame una sessantina di studi pubblicati dal 1947 al 2009 che mettono in evidenza come l’attività fisica regolare migliori le capacità attentive e porti a un generale incremento delle prestazioni cognitive e del rendimento scolastico dei bambini. Gli autori concludono con l’auspicio che per migliorare ulteriormente il rendimento scolastico dei giovani si rinforzino le politiche scolastiche e gli incentivi volti a sostenere l’educazione fisica e l’avvio della pratica sportiva per i più piccoli. Oggi sembra che questo auspicio, che può essere visto anche come un’indicazione tecnico scientifica per chi si occupa di salute e educazione, non venga per nulla preso in considerazione.
La pratica di attività fisica e sportiva regolare è stata messa in relazione con la definizione di un’identità personale positiva e di un maggior benessere personale nei preadolescenti (Donaldson & Ronan, 2006), un generale miglioramento della stima di sé (Bowker, 2006; Findlay & Coplan, 2008), un incremento della salute mentale e del tono dell’umore (Annesi, 2005; Dishman et al., 2006), un aumento del divertimento collegato al piacere di muoversi (Carroll & Loumidis, 2001; O’Reilly, Tompkins & Gallant 2001; Prochaska, Sallis, Slymen & McKenzie, 2003), un incremento delle opportunità di coltivare amicizie socializzando coi pari (Lobo & Winsler, 2006; Maturo & Cunningham, 2013) e di migliorare la percezione delle proprie abilità personali e fisiche (Zarrett,Fay, Li, Carrano, Phelps & Lerner, 2009).

Questo elenco di autori e ricerche dovrebbe far capire quanto sia importante garantire ai più piccoli una continuità sportiva e scolastica, dedicando tempo a strutturare al meglio regole e norme di comportamento e di gestione igienico sanitarie atte a tutelare la salute degli stessi e dei familiari senza correre il rischio concreto di generare altri danni alla salute psicofisica di ognuno, magari meno visibili oggi, ma presenti e in evoluzione.

Spesso ci si muove su un assetto emergenziale, ma ora abbiamo avuto il tempo per strutturarci, conoscere e capire come poter prevenire e gestire l’attuale situazione sanitaria dettata dal covod-19, non attivarsi con quest’ottica e procedere con divieti e chiusure potrebbe dare origine a una società malata a livello psicofisico con conseguenti costi elevati per la sanità pubblica nel futuro. 

È necessario ritrovare l’equilibrio, senza negare o minimizzare e senza amplificare, così da poter
garantire una conoscenza oggettiva del rischio e ridurre lo stato di stress.


Georgia Broggi Napolitano
Psicologa dello Sport e Psicoterapeuta

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